DAL SITO DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE TEATRO DI FIGURA DI PINEROLO
L'ANATRA LA MORTE E IL TULIPANO
(studio per uno spettacolo)
Una quinta bianca come la pagina di un libro, una donna apparecchia la scena parlando ad un cranio, un cranio come un uovo, un uovo d’anatra.
Un’anatra, una qualsiasi, sola, innamorata del proprio stagno, delle piccole cose del quotidiano.
Un giorno quell’anatra si sente inseguita dalla propria ombra: l’ombra è la Morte, con tanto di testa (enorme) a teschio ed in mano un tulipano nero.
La Morte però non sembra un essere oscuro ma somiglia piuttosto a una gentile vecchietta: curiosa, divertita, accondiscendente, una morte con un certo humor, che soffre l’umidità del laghetto proprio come i vecchietti. Non ha neppure i denti: il suo teschio sembra quello degli anziani e dei neonati. E non ha intenzione di “portar via” l’anatra: vuole solo “accompagnarla”.
L’anatra è un’anima semplice, socievole, dopo un primo momento di terrore non può fare a meno di essere amichevole e invita la morte a nuotare al laghetto, sull’albero, a dormire vicine per scaldarsi: tutte le cose che rendono piena ed “eccitante” la vita di un’anatra.
E l’incontro pauroso sfocia in un’amicizia tenera e surreale.
In una notte fredda l’anatra muore.
La Morte l’adagia delicatamente nel fiume, con il tulipano, e la guarda andar via.
“Quando la perse di vista la Morte quasi si rattristò.Ma così era la vita.”
Dal libro omonimo di Wolf Erlbruch, celebre illustratore tedesco, lo studio per uno spettacolo rarefatto, essenziale, che ha voluto rimanere fedele al testo e al segno prezioso e contratto dell’autore. In scena un’attrice sola, contemporaneamente morte, una maschera, ed anatra, un pupazzo animato a vista. La morte che dà vita all’anatra o l’anatra che non può disfarsi della morte attaccata ai suoi stessi piedi palmati?
Essere amici della propria morte, o della morte in generale, è possibile?
Ed essere felici come l’anatra, innamorata del suo stagno, delle piccole cose del quotidiano, è possibile?
L’anatra, la morte e il tulipano è una favola filosofica, priva di qualsiasi retorica, buffa e triste di una tristezza composta, quasi sottovoce.
È un modo per parlare di tutte le volte che moriamo nella nostra vita per diventare altro, diventare più grandi e consapevoli, un’occasione per raccontare una morte che non è l’oscuro nemico sadico ma la personificazione di un evento naturale e inevitabile, che si lascia raccontare con leggerezza senza per questo essere meno tragico.
È, soprattutto, un inno al ciclo della vita, al suo meraviglioso, terribile mistero. Questo breve studio per uno spettacolo fonde tecnica della maschera e del pupazzo animato a vista, nella cornice preziosa ed essenziale del segno di Wolf Erlbruch, autore del testo e dei disegni.