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Il libro di Wolf Erlbruch “L’anatra, la morte e il tulipano”, mi è capitato tra le mani in un periodo di lutto personale ed è stato una folgorazione: sono arrivata all’ultima pagina commossa fino alle lacrime, con la sensazione di avere goduto di un intimo, assoluto capolavoro.
Conoscevo e apprezzavo già l’Erlbruch illustratore per bambini, minimalista e originale, ma l’anatra è qualcosa di differente: la stessa linearità linguistica di un libro per l’infanzia, illustrazioni essenziali, un’opera di poesia grafica e letteraria dove disegni e parole si fondono in maniera inscindibile.
Insomma, un’irresistibile tentazione teatrale: quale altro linguaggio se non quello scenico per fondere insieme immagini e parole?
Le prime ipotesi, i primi disegni sono nati nel 2008 sotto il segno di un quaderno nuovo, durante la gravidanza di mia figlia Luna.
Volevo lavorare da sola in scena con animazione a vista, restare il più possibile fedele al segno grafico di Erlbruch e anche al testo: niente battute aggiunte, ma solo musiche e coreografie mimiche.
Dopo svariati  tentativi per immaginare lo spazio scenico ho optato per la soluzione più essenziale: nel nero una grande quinta bianca, al centro, come la pagina bianca sulla quale si stagliano le figure del libro. Oltre a questo, in scena, solo oggetti strettamente funzionali, il più problematico dei quali certamente il lago: una miriade di inchiostro 

Anche per i pupazzi il percorso è stato simile: da un’idea più strutturata ad un pupazzo dell’anatra quasi bidimensionale, mosso a vista, mentre la morte sarebbe stata una grande maschera (parente delle maschere larvali), in modo che, nello stesso momento, sarei stata animatrice del pupazzo e personaggio della Morte. Questo tranne nella scena dell’albero: quasi un omaggio alle Guarattelle napoletane, dove, d’altronde, i personaggi principali sono Pulcinella (pulcino) e “testa di provolone” (la morte).

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